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Il dipendente fa il furbo e l’investigatore lo fa licenziareNuovo caso di un dipendente in malattia licenziato dopo le indagini private di un investigatore
(PressMoliLaz) 22 Set 24 È ormai pacifico che il datore di lavoro possa effettuare controlli sui propri dipendenti (cc.dd. difensivi) a tutela del proprio patrimonio aziendale, anche di tipo occulto, se finalizzati ad evitare comportamenti illeciti, ed in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, e sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto.
Non è esclusa la possibilità per il datore di lavoro – ed è anzi ormai prassi consolidata – di ricorrere ad agenzie investigative purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che degli illeciti siano in corso di esecuzione.
Pertanto, i controlli del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti, od integrare attività fraudolente o fonti di danno per il datore medesimo, escludendo che l’oggetto dell’accertamento sia l’adempimento, la qualità o la quantità della prestazione lavorativa.
Nel caso in cui il lavoratore sia assente per una malattia, non è escluso che egli – nel corso della convalescenza – possa effettuare altre attività di qualsiasi natura, purché esse non ritardino o pregiudichino la sua guarigione. Il datore di lavoro, pertanto, ha il diritto di verificare il corretto comportamento del suo dipendente durante la convalescenza, per assicurarsi che egli diligentemente tenga uno stile di vita compatibile con la patologia, e che non ritardi colpevolmente il suo rientro al lavoro. La sua malattia è, infatti, in parte pagata dal datore di lavoro ed in parte, per tramite dell’INPS, dalla collettività.
Nella circostanza che ci riguarda, la Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 21766 del 2 agosto 2024 (sotto allegata), ha confermato il licenziamento di un lavoratore in malattia. Il datore di lavoro ha delegato degli accertamenti ad una agenzia investigativa per verificare l’idoneità al lavoro del dipendente ed il suo stato di malattia. Di tale scelta si è lamentato il lavoratore, sostenendo che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 5 l. 300/1970, solo gli istituti specializzati di diritto pubblico sono legittimati al controllo sulla idoneità fisica del lavoratore a rendere la prestazione lavorativa.
Ebbene, la S.C. ha ritenuto legittimi gli accertamenti per tramite di agenzia investigativa perché gli stessi non hanno finalità di tipo sanitario, ma mirano a verificare se le plurime specifiche condotte extra lavorative siano o meno compatibili con la malattia addotta dal lavoratore per giustificare l’assenza dal lavoro, e dunque l’idoneità della predetta malattia a determinare uno stato di incapacità lavorativa. La giurisprudenza ha costantemente affermato la legittimità dei controlli affidati ad agenzie investigative, anche al di fuori dei locali aziendali, purché non abbiano per oggetto l’espletamento della prestazione lavorativa. Le disposizioni di cui all’articolo 5 dello Statuto dei Lavoratori, vietano al datore di lavoro di svolgere accertamenti sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente, e lo autorizzano ad effettuare il controllo solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali. Tali disposizioni, però, non precludono al datore di lavoro di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa rilevante e, quindi, a giustificare l’assenza.
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